Fermata #80 - Facciamo Ordin(als)

Sono tornati gli NFT su Bitcoin (e stanno sparendo di nuovo): si chiamano Inscriptions e sono resi possibili dagli Ordinals. Entusiasti e catastrofisti nella community. Mettiamo un po' d'ordine

Da circa un mese l’argomento che tiene banco è il ritorno degli NFT su Bitcoin.

Attenzione però: non provate a chiamarli davvero NFT, ora il loro nome è artefatti digitali oppure, più brevemente, inscription.

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dall’esplosione degli NFT su altre blockchain, in particolare Ethereum. Una delle critiche principali rivolte verso tali sperimentazioni era di natura puramente logica: “Se salvi un dato su una blockchain centralizzata, che non sappiamo se esisterà ancora tra qualche anno, qual è davvero il valore di quel dato?

Ora gli NFT sono su Bitcoin, il protocollo informatico più distribuito e antifragile che l’uomo abbia mai conosciuto. Problema risolto? Niente affatto, tra i bitcoiner sono iniziati a volare i coltelli.

Ma andiamo con ordine: come è nato il dibattito e che particolarità hanno questi artefatti digitali?

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Ordinals e Inscriptions

Ordinals

Lo scorso 21 gennaio lo sviluppatore Casey Rodarmor ha lanciato il protocollo Ordinals, descrivendo la teoria degli ordinali sul proprio blog. L’idea alla base sta nel numerare ogni singolo satoshi1 - l’unità minima di bitcoin - e tracciarne i movimenti. Questo rende distinguibile ogni satoshi da un altro con una sorta di “numero di serie”.

Senza entrare nel tecnico, la numerazione è resa possibile da una convenzione che consiste nel marchiare i sats nell’ordine in cui vengono generati dalla coinbase transaction di ogni blocco - il pagamento che invia il premio in bitcoin al miner che ha fornito la Proof-of-Work - per poi seguirli, transazione dopo transazione, con il metodo first-in first-out. Ciò significa che quando avviene un trasferimento on-chain, il primo satoshi contenuto nel primo input viene considerato, per convenzione, inviato tramite il primo output2.

Per avere un'idea di massima della logica dietro al funzionamento del tracciamento, consiglio di leggere questa discussione su Bitcoin Talk risalente al 2012: già, l'idea non è affatto nuova.

Casey Rodarmor scrive poi che, essendo i satoshi tracciabili, le persone saranno interessate a collezionarli. Fornisce quindi una lista di diversi livelli di rarità:

  • Comune: ogni sat che non è il primo sat del suo blocco;

  • Non comune: il primo sat di ogni blocco;

  • Raro: il primo sat di ogni periodo di difficulty adjustment (cioè incluso nel primo blocco con la difficulty aggiornata);

  • Epico: il primo sat di ogni halving (cioè incluso nel primo blocco con la ricompensa dimezzata);

  • Leggendario: il primo sat di ogni ciclo (cioè incluso nel primo blocco in cui coincidono difficulty adjustment e halving);

  • Mitico: il primo sat del blocco genesi3.

Va evidenziato come la teoria degli ordinali consista, per l’appunto, in una convenzione. Nessuno può vietare la creazione di un nuovo standard che stabilisca un ordine di tracciamento dei satoshi differente e, dunque, un diverso livello di rarità dei sats, come spiegato su Twitter da Adam Back in una risposta a Ben Perrin di BTC Sessions.

Perrin: Se gli ordinals assegnano arbitrariamente una provenienza a particolari sat dall'altra parte di una transazione, uno standard concorrente potrebbe assegnare arbitrariamente la stessa provenienza a diversi sat? Cosa sto omettendo?

Back: Potrebbe farlo. Non ometti nulla. Potresti crearne uno concorrente che assegni rarità diverse ai sats.

Nonostante la base degli ordinals sia quindi una convenzione tutt’altro che insuperabile da potenziali altre teorie, a inizio febbraio l’utilizzo del protocollo ha preso piede per un caso d’uso particolare legato proprio alla tracciabilità dei satoshi on-chain. Qualche idea? Corretto: gli NFT.

Inscriptions

La seguente immagine rappresenta un’inscription: nello specifico la numero 165.918, assegnata al satoshi 1468175026303391, un satoshi comune a sua volta depositato su questo indirizzo.

Un’inscription consiste in dati assegnati a un ordinal, quindi a un satoshi marcato. Tale collegamento fa sì che i dati restino per sempre scritti su quell’immutabile registro globale che è la timechain. I dati possono essere di vari formati, al momento attuale quelli supportati sono HTML, CSS, JavaScript, SVG, MP3, PNG e JPEG. Sulla blockchain di Bitcoin possono quindi essere inserite non solo transazioni ma anche immagini, gif, audio e persino mini videogiochi: contenuti tutti consultabili tramite l’explorer dedicato ordinals.com.

C’è una differenza fondamentale che contraddistingue gran parte degli NFT sulle altre blockchain dalle inscriptions: queste ultime consistono nel vero e proprio contenuto - immagine, audio, ecc - caricato sulla timechain, mentre i classici NFT non sono altro che una stringa digitale che rimanda a un contenuto esterno alla blockchain.

Questa differenza è determinante e le sue implicazioni sono ciò che hanno scatenato il dibattito tra gli addetti ai lavori. Ma prima di parlarne vale la pena ricordare che le inscriptions non sono il primo caso di NFT su Bitcoin. Come anticipato a inizio articolo, si tratta di un ritorno alle origini.

Counterparty, SegWit e Taproot

Counterparty

I primi NFT su Bitcoin sono nati nel 2015 con il protocollo Counterparty e hanno guadagnato una certa popolarità nel settore con la diffusione di Rare Pepe: una collezione di 1744 carte in forma di NFT raffiguranti in varie vesti una rana verde diventata poi una macchina da meme.

Non diversamente dall’ondata di NFT che ha coinvolto le altre blockchain, Counterparty non permetteva di caricare il contenuto direttamente sulla timechain. Nello specifico sfruttava il campo OP_RETURN di una transazione - caratterizzato da una dimensione molto limitata, 80 byte - per linkare il file esterno alla blockchain di Bitcoin.

Con ordinals e inscriptions, come anticipato, le cose stanno diversamente. Un file ha il solo limite della dimensione massima di un blocco Bitcoin: 4 MB. Questa specifica caratteristica è resa possibile dalla combinazione dei due soft-fork più importanti della storia di Bitcoin: SegWit e Taproot.

Segwit e Taproot

Come spiegato nella fermata #28, SegWit è stato il risultato di quello che è forse il più grande scontro ideologico di sempre interno alla comunità Bitcoin: la Blocksize War.

Nonostante il codice di Bitcoin non preveda blocchi superiori a 1 MB, Segregated Witness (da qui l’abbreviazione SegWit) ha reso possibile l’approvazione di blocchi fino a 4 MB tramite un escamotage: ha spostato le firme delle transazioni in un nuovo campo chiamato witness, separato dal resto del blocco (da qui segregated). Così facendo ha stabilito che i dati contenuti nel campo witness non fossero rilevanti ai fini del calcolo della dimensione del blocco, dunque non influenzassero il peso limite di 1 MB delle transazioni. Le commissioni necessarie per scrivere dati nel campo witness sono inferiori di un quarto rispetto a quelle applicate per la scrittura delle transazioni: un fattore divenuto noto come sconto witness.

Questa è una caratteristica chiave: le inscriptions vengono caricate proprio nel campo witness e pagano dunque commissioni inferiori a una stessa quantità di dati, fatta di transazioni, scritta nel resto del blocco.

Seppur di minor entità, un assist ai nuovi artefatti digitali l’ha offerto anche Taproot, spiegato nella fermata #10. SegWit poneva una restrizione alla quantità di dati che potevano essere inseriti nel campo witness. Taproot ha rimosso il limite, rendendo possibile caricare dati fino a 4 MB, che potenzialmente occupino quindi l’intero spazio disponibile nel blocco. Il primo febbraio il blocco numero 774.628 è stato riempito da questo JPEG da 3,9 MB.

Il dibattito

Uno dei temi che ha destato maggiormente preoccupazione tra gli addetti ai lavori, come anticipato, è legato direttamente al fatto che i file delle inscriptions vengano caricati completamente on-chain.

Decentralizzazione

Dopo l’approvazione di SegWit generalmente i blocchi approvati avevano dimensioni non superiori agli 1,8 MB, con le inscriptions invece hanno iniziato a comparire blocchi ben superiori ai 3 MB.

Qualora tale tendenza proseguisse, la diretta conseguenza sarebbe una riduzione significativa del ciclo di vita dell’hard disk/SSD di un full-node che conserva l’intera timechain. L’acquisto di una SSD più capiente si tradurrebbe in costi superiori per installare un full node e, dunque, in una minor accessibilità. Se per tanti si tratta pur sempre di cifre irrisorie - un hard disk da 2 TB costa poche decine di euro - per chi vive in contesti autoritari con valute iperinflazionate lo sforzo per aggiornare il proprio full-node potrebbe non essere così indolore. E il dibattito della Blocksize War insegna: più costi, minor decentralizzazione.

Spam e commissioni

C’è poi chi, come il noto sviluppatore Luke Dashjr4, considera ordinals e inscriptions un vero e proprio attacco spam a Bitcoin, tanto da rilasciare e mettere a disposizione di tutti una patch chiamata Ordinals disrespector per filtrare dal proprio nodo le inscriptions.

Quello che secondo Dashjr è un attacco spam non è fine a sé stesso perché, qualora prendesse piede, potrebbe rendere più costosa l’approvazione di una classica transazione on-chain. Se in un ipotetico futuro le inscriptions occupassero frequentemente gran parte dei blocchi, gli autori delle transazioni dovrebbero costantemente offrire commissioni altissime per incentivare i miner ad approvarle rinunciando a qualche NFT, scatenando dunque un’asta al rialzo. L’alternativa sarebbe restare in attesa della conferma nel limbo della mempool5 per tempi anche molto prolungati. In breve, uno dei principali caso d’uso di Bitcoin, quello di mezzo di pagamento, diventerebbe molto più costoso.

Come dimostrato dai dati, per due settimane - dal 6 al 19 febbraio - le inscriptions hanno causato un notevole aumento delle dimensioni della mempool, dunque della quantità di transazioni con commissioni basse in attesa di approvazione. Oggi, tuttavia, la mempool si è già quasi del tutto svuotata.

Fungibilità, Lightning Network e CoinJoin

La teoria degli ordinali, se accettata su larga scala, renderebbe bitcoin non fungibile. Il punto della moneta è che una sua unità abbia lo stesso valore di un’altra sua unità. Se l’intero mercato ritenesse che un satoshi raro vale più di un satoshi comune, Bitcoin non potrebbe essere una buona moneta.

Come ha scritto su Twitter Giacomo Zucco, “se tutti usassero gli ordinals per tracciare i satoshi, il routing su Lightning Network e il CoinJoin sparirebbero”. Sì, perché il CoinJoin, spiegato nella precedente fermata, si basa sul fatto di registrare degli UTXO e di riceverne degli altri in uguale quantità. Se i satoshi coinvolti fossero di valori diversi un tale meccanismo non avrebbe più economicamente senso. Lo stesso discorso vale per il routing dei pagamenti su Lightning Network.

Censura o mercato?

Quindi la soluzione qual è? Censurare? No. Al di là del fatto che il concetto stesso di censura dovrebbe essere piuttosto incoerente con l’indole libertaria che caratterizza molti bitcoiner, le soluzioni tecniche non sono affatto semplici. Il noto ricercatore Andrew Poelstra nella bitcoin-dev mailing list ha sottolineato:

Fortunatamente le probabilità che il caso d’uso JPEG, scimmie e rane su Bitcoin prevalga su quello del protocollo monetario distribuito, immutabile e incensurabile, sono quasi inesistenti. A stabilirlo potrà essere solo il mercato: se ordinals e inscriptions verranno presi sul serio dalla minoranza del mercato, allora la fungibilità di Bitcoin sarà salva. Inoltre, con l’aumentare delle transazioni, negli anni le commissioni on-chain saliranno inevitabilmente, disincentivando sempre di più la memorizzazione di nuove inscriptions.

Una bolla che si sta sgonfiando

Le evidenze destano già oggi ottimismo. Quella di ordinals e inscriptions, dopo qualche settimana di follia, sembra essere una moda sulla via del tramonto. L’entità delle commissioni sta via via tornando a diminuire dopo un periodo di euforia e, insieme allo svuotamento della mempool, il dato suggerisce un minor interesse verso la materia.

NFT immutabili e commissioni per i miner

Naturalmente ci sono anche delle argomentazioni a favore di ordinals e inscriptions.

Una, di breve-medio termine, consiste nel sostenere che - fino a quando non ci sarà un’estensiva domanda di blockspace da parte di chi effettua transazioni - le commissioni derivanti dalle inscriptions potranno aiutare i miner a sostenersi economicamente anche in periodi di mercato ribassista.

Un’altra entra nel merito di quanto accennato a inizio articolo: gli artefatti digitali possono finalmente essere considerati di valore perché scritti sull’unica vera blockchain autenticamente distribuita e immutabile. Con artefatti digitali non si parla però solamente di rane strampalate, cryptopunk o gattini allegri, si parla anche di documenti. L’idea è che il registro distribuito, immutabile e incensurabile costituito dalla timechain di Bitcoin possa tornare utile per il caricamento di documenti ufficiali e contratti rendendo possibile l’eliminazione di intermediari oggi necessari, come la figura del notaio.

Questa visione manca però di un concetto chiave. Una classica transazione Bitcoin non verrà mai scritta sulla timechain se non rispetta perfettamente le regole del protocollo. Non ci possono dunque essere dubbi sull’effettiva veridicità di tale transazione: se c’è è innegabilmente avvenuta. Lo stesso non si può dire dei contenuti di un contratto caricato in forma di inscription. Se da un lato il suo caricamento è innegabile tanto quanto la transazione classica, non può esserci alcuna certezza6 che quanto scritto all’interno di quel documento rappresenti fedelmente un avvenimento del mondo reale e non dichiari invece il falso. Servirà comunque una terza parte, come un notaio, che stabilisca l’autenticità di tale documento.

La domanda, dunque, è sempre la stessa: se serve un intermediario, a cosa serve caricare il documento sulla timechain?

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