Fermata #34 - Bitcoin è centralizzato?

Una ricerca scientifica scopre l'acqua calda: il mining nei primi anni era centralizzato. Secondo i media questo comprometterebbe lo scopo di Bitcoin, ma le informazioni sono incomplete

Quanto è davvero “trustless” Bitcoin? Nel mito, la criptovaluta è egualitaria, decentralizzata e anonima. Gli scienziati hanno scoperto che la realtà è molto diversa.

E’ così che il New York Times ha titolato un articolo pubblicato lunedì 6 giugno per gettare luce sulla distribuzione del network Bitcoin che, secondo l’autore, sarebbe solo presunta.

La stampa tradizionale ci ha ormai abituato ad articoli poco accurati - quando non tendenziosi - e in alcuni casi supportati da studi scientifici dalla dubbia credibilità. Recentemente - ne ho scritto nella fermata #24 - è stato il caso della campagna mediatica di Greenpeace contro il consumo energetico di Bitcoin, basata sull’assunto di un paper secondo cui il mining avrebbe portato a un innalzamento della temperatura globale di 2°C. In questo caso il dettaglio non menzionato era che i dati di quello studio erano stati rivisti per ben tre volte spiegando che il paper “sovrastimava fortemente le emissioni”.

Negli ultimi giorni, una nuova scoperta. Il mining di Bitcoin, alle sue origini, era centralizzato. Per darvi un termine di paragone è un po’ come dire che prima che l’Universo si espandesse il Big Bang era un elemento di centralizzazione.

A darci la stupefacente notizia è Alyssa Blackburn, data scientist della Rice University e del Baylor College of Medicine di Houston, a cui bisogna dare atto di aver dimostrato l’ovvio con dati molto accurati, raccolti e rilanciati con grande gioia dai media tradizionali.

Lo studio: mining centralizzato dal 2009 al 2011

Il paper pubblicato dalla ricercatrice insieme ad altri colleghi analizza i dati on-chain1 dei primi 2 anni di vita di Bitcoin arrivando alla seguente conclusione:

I profili chiave ad aver minato la gran parte dei bitcoin emessi dal 3 gennaio 2009 all’11 febbraio 2011 - momento in cui il prezzo di BTC ha raggiunto per la prima volta quota $1 - sarebbero solamente 64.

Nel periodo di tempo considerato i 64 profili chiave - che nel documento sono definiti agenti - avrebbero minato 2,677 milioni di bitcoin a fronte di un’emissione complessiva di 5,393 milioni. Il 49,6% del circolante.

In particolare i primi sei agenti avrebbero ottenuto quanto segue:

  • Agente #1 (Satoshi Nakamoto): 1.108.550 BTC

  • Agente #2: 188.150 BTC

  • Agente #3: 120.850 BTC

  • Agente #4: 73.200 BTC

  • Agente #5: 70.000 BTC

  • Agente #6: 64.850 BTC

Utilizzando poi le conversazioni sui principali forum dedicati a Bitcoin insieme ad altri dati la ricerca identifica alcuni dei nomi dietro agli indirizzi che hanno accumulato BTC nei primi due anni: il più noto è indubbiamente l’agente #67 che sarebbe associato a Dread Pirate Roberts, lo pseudonimo riconducibile a Ross Ulbricht, imprigionato negli Usa per aver creato il più noto mercato libero - alcuni lo chiamerebbero nero, la verità è che non c’è alcuna differenza - digitale al mondo: Silk Road.

Le possibilità dell’attacco del 51%

La ricerca mostra come per diversi mesi i primi 5 agenti abbiano incassato più della metà, a volte la quasi totalità, dei bitcoin minati: questo significa che con ogni probabilità avevano a disposizione la larghissima maggioranza dell’hash rate2 di Bitcoin: fino a dicembre 2009 il solo Satoshi Nakamoto aveva la maggioranza assoluta della potenza computazionale.

Controllare più della metà dell’hash rate globale può portare a compiere il cosiddetto 51% attack che permetterebbe all’attore malevolo di fare delle transazioni di doppia spesa3 oppure eseguire degli attacchi di DDoS (Denial of Service) rendendo molto difficile al resto della rete far approvare dei pagamenti all’interno della blockchain.

Nonostante l’evidente controllo della potenza computazionale di Bitcoin (all’epoca bassissima), lo studio nota che gli agenti non hanno mai tentato un attacco del 51%. Il motivo non è difficile da intuire: che interesse avrebbe avuto Satoshi Nakamoto a invalidare la tecnologia da lui stesso creata quando ancora BTC valeva pochi centesimi?

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Lo stato attuale del mining

Più che certificare l’ovvio - ossia che nel 2009 quasi nessuno conoscesse Bitcoin e che di conseguenza fossero in pochi a controllarne l’hash rate - è utile capire come sia distribuita oggi la potenza di calcolo. C’è ancora un rischio di attacco del 51% paragonabile alle origini? La risposta, ovviamente, è no.

Negli anni l’hash rate si è ampiamente distribuito e, per competere con le mining farm, sono nate le mining pool, cioè squadre di miner singoli distribuiti in tutto il mondo che uniscono la propria potenza di calcolo per poter competere con le grandi farm. Il grafico mostra com’è distribuito l’hash rate delle mining pool (stimato dal numero di blocchi minati da ciascuna) nell’ultimo anno.

Dalla torta è facile notare come buona parte del mercato delle mining pool sia in mano sostanzialmente a otto nomi: AntPool, Foundry USA, F2Pool, ViaBTC, Poolin, Binance Pool, BTC.com e SlushPool.

Questa concentrazione può sembrare una minaccia ma le pool, come detto, sono costituite da miner individuali che possono cambiare rapidamente squadra qualora quest’ultima coordinasse troppa potenza computazionale (e rendesse quindi Bitcoin più vulnerabile). Inoltre ci sono sviluppi come Stratum V2, il protocollo di mining che, tra le altre cose, permetterà ai singoli minatori di costruire il proprio blocco togliendo questo potere alle pool4 e contribuendo a decentralizzare ulteriormente il settore.

L’interpretazione disordinata dei media

Il New York Times

Nonostante l’evoluzione progressiva del mining lo studio di Alyssa Blackburn sui primi due anni di vita di Bitcoin è stato sufficiente al New York Times per scrivere che “il mining è centralizzato” e per criticare un presunto anonimato che secondo l’autore Bitcoin dovrebbe garantire e che in realtà non offre. Peccato che l’opera di Satoshi Nakamoto non sia affatto anonima, quanto invece pseudonima. Al giornalista sarebbe bastato aprire il sito Bitcoin.org:

Bitcoin non è anonimo e non può offrire lo stesso livello di privacy del denaro contante. L'uso di Bitcoin lascia ampie tracce pubbliche. Esistono diversi meccanismi per proteggere la privacy degli utenti e altri sono in fase di sviluppo. Tuttavia, c'è ancora del lavoro da fare prima che queste funzioni vengano utilizzate correttamente dalla maggior parte degli utenti di Bitcoin.

La Repubblica

Ma non temete, quando si parla di disinformazione il nostro Paese è molto spesso ben rappresentato. Repubblica, come da tradizione, dà grandi soddisfazioni in tal senso:

  1. Bitcoin potrebbe non essere così decentralizzato come promette. Anzi, potrebbe non esserlo stato mai”;

  2. I bitcoin minati dal 2009 al 2011 sarebbero “circa 8 milioni”;

  3. Il report viene definito “ancora non pubblicato”;

  4. Se i dati fossero confermati, il sogno anarco-capitalista delle criptovalute potrebbe risultare poco più che propaganda”.

E’ doveroso fare ordine:

  1. Quali sarebbero i dati che nel 2022 renderebbero Bitcoin “non così decentralizzato come promette” purtroppo il giornalista di Repubblica non ce lo fa sapere.

  2. I bitcoin minati dal 2009 al 2012, come da primo grafico di questa fermata, sono stati 5,4 milioni: non 8, né tantomeno 10 come si leggeva nella prima versione dell’articolo.

  3. Il report è pubblico ed è consultabile qui.

  4. Supponendo che il sogno anarco-capitalista possa essere ipotizzabile solo in presenza di un network autenticamente distribuito e senza un regolatore che possa deciderne il destino, non esiste alcun “sogno anarco-capitalista delle criptovalute5. Esiste forse esclusivamente nel caso di Bitcoin che, nonostante le sentenze degli articoli delle autorevoli testate, è oggi la rete più distribuita che l’essere umano conosca.

Per concludere, cari lettori, se è vero come scrive Repubblica che “per gli scienziati del mondo del cripto il report è una scoperta”, rallegriamoci tutti quanti.

Siamo più svegli di certi scienziati.

Online su YouTube la live di lunedì scorso con Massimo Musumeci e Laura Nori

Di seguito la nuova puntata dei video-approfondimenti live dedicati al tema della settimana di Bitcoin Train sul canale YouTube di Massimo Musumeci, fisico, ricercatore Bitcoin ed esperto di privacy e sicurezza informatica.

Il prossimo appuntamento non sarà come di consueto il lunedì ma è spostato a martedì: sempre ore 17:00.

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