Fermata #275 - Fare il KYC alle parole
Quando pochi controllano media e moneta, il valore viene oggettivato dall’alto. Bitcoin restituisce al singolo la capacità di verificare, scegliere e sottrarsi alla censura informativa ed economica.
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Tendiamo a considerare la libertà di parola come un diritto quasi sacro. Molto meno spesso, però, riconosciamo la stessa dignità alla libertà di usare il denaro come preferiamo. Eppure, se si guarda con attenzione a come funzionano informazione e sistema monetario, emerge una realtà molto semplice: informazione e denaro sono due facce della stessa medaglia. Censurare l’una o manipolare l’altro produce lo stesso risultato: il controllo politico e sociale degli individui.
Codice, parola e denaro appartengono allo stesso dominio: sono strumenti di comunicazione, di coordinamento sociale, di trasferimento di informazione. Per questo, limitarli o incanalarli dall’alto significa intervenire sul modo in cui la società pensa, agisce, si organizza.
Codice, parola, denaro: tre linguaggi
Nella comunità Bitcoin si ripete spesso che code is speech. Non è solo una provocazione: parliamo infatti di linguaggi di programmazione, che usano simboli e regole per trasmettere istruzioni e idee, esattamente come facciamo con l’italiano o l’inglese.
Il passaggio successivo viene da sé: anche il denaro è linguaggio. Il denaro è un sistema di informazione sui valori economici, uno strumento con cui comunichiamo cosa desideriamo, cosa siamo disposti a sacrificare, quanto riteniamo importante un bene o un servizio. È una forma di coordinamento sociale esattamente come i mass media: là dove i giornali plasmano la percezione della realtà, chi controlla la moneta plasma gli incentivi e quindi le azioni.
I media influenzano la percezione del mondo, decidendo quali temi mettere al centro dell’attenzione;
Banche centrali e governi, tramite il sistema monetario, influenzano il comportamento delle persone, fornendo incentivi (o disincentivi) tramite prezzi, tassi, sussidi, tasse.
Quando entrambi sono centralizzati nelle mani di pochi attori – grandi gruppi editoriali da un lato, banche centrali e Stati dall’altro – il risultato è sempre lo stesso: una pretesa di oggettivare il valore, dire dall’alto cosa deve essere importante, cosa deve valere, per chi e quando.
Agenda Setting e Value Setting
Chiunque abbia studiato giornalismo conosce il concetto di agenda setting: i media non ti dicono cosa pensare, ma ti dicono di cosa pensare.
Funziona così:
Decidono quali notizie pubblicare in prima pagina;
Decidono quanto spazio, quanto tempo e quanta enfasi dedicare a ciascun tema;
Attraverso questa selezione implicita ti indicano cosa deve essere importante.
Il risultato è che l’agenda dei media diventa l’agenda del pubblico: se tutti i principali quotidiani aprono con la stessa notizia - cosa che accade regolarmente - allora quella diventa la questione più importante del giorno. Tutto il resto finisce a fondo pagina, o direttamente fuori campo.
Quando le testate realmente influenti si riducono a poche, e appartengono a gruppi editoriali concentrati, il meccanismo si aggrava: la varietà apparente di opinioni non corrisponde a una reale varietà di priorità. Cambiano i toni, le foto, le sfumature ideologiche, ma il messaggio implicito è identico: “Oggi devi occuparti di questo, non di altro”.
La soggettività del lettore, dei suoi interessi, del suo contesto, sparisce dietro un palinsesto unico, deciso da poche redazioni.
Lo stesso processo avviene con il denaro. Se i media esercitano un’agenda setting sull’informazione, le banche centrali e gli Stati esercitano una sorta di value setting sul valore economico: fissano parametri che determinano quanto deve valere il tempo, il risparmio, il credito.
Il tasso di interesse è l’esempio più evidente. In Europa, ogni sei settimane un board di persone a Francoforte decide se aumentare, diminuire o mantenere invariato il costo del denaro. Non sta semplicemente commentando la realtà economica: la sta modificando, alterando un’unità di misura fondamentale.
Per capire quanto sia assurdo, immaginiamo una “banca centrale delle autostrade” che a un certo punto decide che la distanza tra Lugano e Milano non è più 80 km ma 100km, per disincentivare il traffico tra le due città. Non è cambiata la realtà fisica: è cambiata l’unità di misura. Noi però ce la prendiamo con il pedaggio (“hanno alzato i prezzi!”), anziché con chi ha manipolato i chilometri.
Una distorsione sistemica della percezione del valore. Il prezzo che vediamo a scaffale non riflette solo domanda e offerta reali, ma anche la continua alterazione dell’unità di conto. E chi altera questa unità, di fatto, trasferisce valore da alcuni soggetti ad altri.
Quando lo Stato si allea con il sistema monetario, l’oggettivazione del valore supera il livello monetario e arriva a quello normativo: si decide per legge che certe cose devono valere più di altre.
Per esempio, gli incentivi per l’acquisto di veicoli elettrici, con contributi anche da 15.000–20.000 euro a veicolo, comunicano un messaggio chiaro: quell’acquisto ha più valore sociale di altri. La domanda non nasce dal mercato, ma da un sussidio finanziato con tasse e debito;
o il salario minimo che stabilisce che, indipendentemente da competenze, produttività, contesto, domanda e offerta di lavoro, nessuno possa essere retribuito al di sotto di una certa soglia. Non è il mercato a scoprire qual è la combinazione di prezzo e quantità che permette a più persone di lavorare: lo decide l’autorità, oggettivando il valore del lavoro.
La valutazione soggettiva dei singoli viene sostituita da un giudizio politico: “Questo bene merita un certo prezzo, questo servizio merita un certo salario, questo comportamento merita un certo incentivo”. È la stessa logica dell’agenda setting, applicata al portafoglio.
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Il valore è soggettivo, non si stabilisce per decreto
La tradizione dell’economia austriaca lo ripete da oltre un secolo: il valore non nasce dai costi di produzione, ma dal giudizio soggettivo dei singoli. Ciò che conta è quanto un individuo, in un certo contesto, è disposto a sacrificare per ottenere qualcosa.
L’esempio classico è quello dell’acqua:
Oggi, in una città europea, quasi nessuno pagherebbe €50 per una bottiglietta da mezzo litro;
Dopo due giorni nel deserto, in condizioni fisiche precarie, la stessa persona potrebbe essere disposta a pagarne 120.
Non è cambiata la bottiglia. È cambiato il contesto: scarsità, urgenza, alternativa disponibile. Il valore è profondamente soggettivo.
Lo stesso vale per informazione e contenuti: un libro o un corso valgono tanto quanto la persona che li acquista ritiene che possano aiutarla a colmare un gap di conoscenza. Imporre dall’alto quanto deve valere un libro, un salario, un bene energetico significa negare questa soggettività e sostituirla con una griglia unica valida per tutti, in ogni contesto.
I prezzi come informazione
Se il valore è soggettivo, il prezzo è lo strumento con cui queste soggettività si incontrano e si sintetizzano. Hayek lo descriveva con grande lucidità: senza nessun ordine centralizzato, milioni di persone che non si conoscono reagiscono a un aumento dei prezzi di una materia prima diventata più scarsa, usando quel bene con maggiore parsimonia o sostituendolo con qualcos’altro.
L’esempio del gas europeo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina è evidente: la decisione politica di ridurre gli acquisti dalla Russia ha provocato una scarsità artificiale, perché gli altri fornitori non potevano magicamente triplicare produzione e export nel giro di pochi mesi. Il prezzo è salito. Quel segnale ha detto una cosa chiara a famiglie e imprese: “Questo bene è più scarso, usalo con più attenzione”.
Molte persone hanno ridotto i consumi, abbassato il termostato, rimandato spese superflue. Non perché qualcuno avesse spiegato nel dettaglio la geopolitica del gas, ma perché il prezzo - cioè l’informazione incapsulata nel denaro - ha comunicato una realtà economica.
Quando però la moneta viene manipolata, quel segnale si distorce:
Tassi artificialmente bassi spingono a indebitarsi troppo e a investire in progetti che in condizioni normali non sarebbero sostenibili;
Salvataggi selettivi, sussidi e stimoli legati a settori specifici spostano il capitale non dove il mercato lo richiederebbe, ma dove lo Stato decide che dovrebbe andare.
Il risultato è lo stesso dell’agenda setting: la struttura reale delle preferenze individuali viene coperta da un rumore di fondo generato dall’alto.
L’unione tra informazione e denaro
In questo quadro, Bitcoin introduce un elemento radicalmente diverso: un protocollo pubblico, verificabile, stabile, che disciplina sia lo scambio di informazione - il registro delle transazioni - sia la politica monetaria.
Le regole sono codificate e pubbliche: chiunque può leggere il codice, verificare come funziona l’emissione, controllare le transazioni attraverso il proprio nodo;
La politica monetaria è rigida e prevedibile: non esistono board che ogni sei settimane decidono se manipolare le unità di misura. È noto oggi quale sarà l’offerta di bitcoin tra dieci, cinquanta o cento anni.
Bitcoin riduce drasticamente l’asimmetria informativa: non serve fare lobbying, né essere amici di chi siede a Francoforte, per sapere quale sarà la politica monetaria;
Basta far girare un software libero su una macchina a basso costo. Il nodo non è solo uno strumento tecnico: è l’incarnazione pratica della libertà di ispezionare il sistema monetario che adotti.
In questo senso, Bitcoin spezza sia il value setting delle banche centrali sia l’agenda setting dell’informazione monetaria: l’unità di misura non può essere modificata a colpi di riunioni periodiche, le regole non possono essere cambiate in modo discrezionale da chi detiene il potere politico.



