Fermata #269 - RWA: ritorno al 2017
La nuova bolla è già scritta ed è quella dei Real World Asset da tokenizzare su niente meno che Bitcoin: questa volta, però, potrebbe essere ancora più rovinosa
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Se nel 2017 la corsa ai token digitali era appannaggio di startup e progetti improvvisati, oggi sono i grandi Cfo a guardare con interesse al mondo “crypto”. Secondo l’ultima ricerca Deloitte CFO Signals (Q2 2025), quasi nessun Cfo di grandi aziende nordamericane esclude l’uso delle criptovalute in futuro: solo l’1% si dice contrario e ben il 23% prevede che il proprio dipartimento inizierà a utilizzare criptovalute - per pagamenti o investimenti di tesoreria - entro due anni. Tra le corporation più imponenti, quelle con un fatturato oltre $10 miliardi, la quota sale addirittura al 39%.
Il 45% dei dirigenti cita la tutela della privacy dei clienti come vantaggio dei pagamenti in stablecoin, seguita dalla maggiore efficienza nei trasferimenti cross-border (39%). In altre parole, la finanza tradizionale sta cercando di riaprire un hype che chi è parte del settore sa bene essersi manifestato - con i suoi effetti rovinosi - nel ciclo del 2017.
Questo improvviso amore corporate richiama infatti la febbre da Ico del 2017, quando l’industria fu travolta da una marea di token lanciati sul mercato. All’epoca, con Initial Coin Offering si indicava la raccolta di capitali tramite emissione di nuovi token digitali - spesso sulla rete Ethereum - venduti agli investitori con la promessa di rivoluzionare i settori più disparati. Fu una bolla speculativa in piena regola: a inizio 2018 la capitalizzazione complessiva delle criptovalute toccò il picco di $773 miliardi, sospinta da Bitcoin ma anche da una miriade di altcoin alimentate dal boom delle ICO. Uno studio del 2018 (Satis Research) stimò che ben il 78% di quei progetti ICO si rivelò fraudolento, e entro fine 2019 la maggior parte dei token lanciati durante la mania aveva perso oltre il 90% del valore.
Va detto che nel 2017 pochissime grandi corporation tradizionali parteciparono direttamente alla giostra delle Ico. Tuttavia, il richiamo della buzzword blockchain fu così forte che alcune società cercarono di cavalcare l’onda a modo loro. Celebre il caso di Long Island Iced Tea, società di bevande che a dicembre 2017 cambiò nome in Long Blockchain Corp ottenendo un immediato +432% in borsa solo grazie al nome, pur non avendo alcun business reale nel settore crypto.
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Cosa ci aspetta in questo ciclo? Un pattern forse simile.
Uno degli elementi chiave della possibile bolla 2.0 in costruzione è l’evoluzione del trend di tokenizzazione. Ma tokenizzazione di che cosa, esattamente? RWA, come direbbero quelli bravi: Real World Assets. Nel 2017 la creazione di token avveniva quasi esclusivamente su piattaforme alternative come Ethereum o in seguito Solana e altre shitcoin emerse durante i cicli speculativi successivi. Queste reti hanno fatto da laboratorio per stablecoin, Nft e smart contract di ogni genere.
La novità degli ultimi tempi è che la tokenizzazione sta migrando verso Bitcoin stesso grazie a tecnologie come Taproot Assets e RGB. Nelle scorse settimane, durante Lightning 2049, side event della conferenza Token 2049 di Singapore, è stato evidenziato come vi sia un trend crescente di migrazione delle stablecoin verso i Layer 2 di Bitcoin alla ricerca di migliori performance e riservatezza, senza doversi appoggiare alle piattaforme compatibili con Ethereum.
Per alcuni si tratta di una svolta epocale: Bitcoin che evolve in piattaforma multi-asset, mantenendo però la solidità e la sicurezza che la rete principale garantisce. I sostenitori di RGB e simili parlano di un Bitcoin che diventa programmabile senza rinunciare ai suoi principi di base. Ma molti bitcoiner di vecchia data guardano questo fenomeno con scetticismo. La linea tra innovazione e mera speculazione si fa sottile. E quando entrano in gioco le grandi aziende - leggi Tether - pronte a investire e a fare marketing su queste novità, il rischio è che la bilancia penda verso la seconda.
Il rischio di una bolla “aziendale”
Oggi colossi della finanza come BlackRock proclamano che “la prossima generazione per i mercati finanziari sarà la tokenizzazione dei titoli”. BlackRock stessa, che gestisce oltre $13 mila miliardi, sta già sperimentando la tokenizzazione di fondi monetari e obbligazioni in collaborazione con startup fintech. Il messaggio è chiaro: tutto sarà tokenizzato, dagli asset finanziari tradizionali fino agli oggetti da collezione, e le imprese non vogliono perdere il treno.
Ma a chi giova davvero questa nuova moda? Alcuni vantaggi sbandierati - transazioni più efficienti, riduzione dei costi, accesso ai mercati globali 24/7 - sono reali sulla carta, ma non esclusivi di Bitcoin. Spesso le stesse cose si potrebbero ottenere potenziando i sistemi tradizionali: tanto alla fine, centralizzato per centralizzato, il senso di emettere un token controllato al 100% dall’emittente su un protocollo incensurabile viene un po’ meno. Il timore è che molte aziende vedano nei token su Bitcoin un nuovo veicolo di speculazione e marketing, più che un miglioramento strutturale. Un corporate grift, per dirla all’anglosassone: iniziative luccicanti volte più a gonfiare il valore percepito (e magari il titolo azionario) che non a portare valore concreto agli utenti finali o al network Bitcoin.
Per la comunità Bitcoin, che da oltre 15 anni promuove una visione di denaro solido, decentralizzato e resistente alla censura, gran parte di questo rumore rischia di essere una distrazione dal segnale autentico. Seguire il rumore del marketing aziendale può far perdere di vista ciò che conta davvero: l’adozione organica di Bitcoin come riserva di valore e mezzo di scambio senza bisogno di autorizzazioni. Mentre il denaro istituzionale inonderà probabilmente queste nuove iniziative tokenizzate - gonfiando forse una bolla ancor più grande di quella del 2017 - il rischio è che, al momento dello scoppio, la fiducia generale nell’ecosistema ne esca nuovamente compromessa.
Ormai lo sapete: l’idea che questa volta è diverso accompagna ogni bolla finanziaria. Oggi l’idea è che l’ingresso delle aziende tradizionali renda i digital asset finalmente maturi e sicuri. La storia ci insegna a diffidare da questa narrativa. La prossima bolla potrebbe avere loghi patinati e linguaggio da Fortune 500, ma la dinamica potrebbe rivelarsi identica a quella delle Ico: enormi quantità di capitale inseguono promesse futuristiche, pochi progetti sopravvivono ridimensionandosi enormemente, molti svaniscono completamente. Per chi segue Bitcoin da tempo, la strategia più saggia è restare focalizzati sul segnale e non farsi travolgere dal rumore.
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