Fermata #267 - Il Grande Fratello delle stablecoin
Corsa senza sosta alle valute fiat 2.0. Più sorveglianza, più discriminazione, più controllo, venduti con la moda della blockchain. E' esplosa la moda delle stablecoin
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Dimmi che stablecoin emetti e ti dirò chi sei.
Da qualche tempo a questa parte non c’è banca, multinazionale o istituzione che non si sia riempita la bocca con il termine stablecoin, diventato oggi una vera e propria moda, seconda solamente a quella dell’intelligenza artificiale.
Dopo le Ico del 2017, il boom di Nft e DeFi, i Layer-2 dell’ultimo biennio, ora tutti parlano di USDT e delle sue sorelle - leggi competitor - ossia di tutti quei token ancorati al prezzo di una valuta fiat.
Credo di non suscitare stupore in nessuno di voi se scrivo che le stablecoin non introducono nulla di davvero rivoluzionario: si tratta semplicemente di moneta fiat potenziata, ovvero token digitali che riproducono 1:1 una valuta tradizionale ma, anziché essere registrati dal server di una banca commerciale, sono memorizzati e trasmessi dai server di qualche federazione o fondazione - o, come amano chiamarsi, “blockchain”, quali Ethereum, Solana, Tron, ecc.
In teoria le stablecoin dovrebbero unire la stabilità del denaro tradizionale con i vantaggi di Bitcoin, ma di fatto restano fortemente legate al sistema finanziario esistente. Anzi, come osserva la Banca dei Regolamenti Internazionali - una sorta di Banca Centrale delle banche centrali - possono persino trasformarsi in moneta programmabile: per esempio uno Stato potrebbe vincolare spese in voucher di aiuto alimentare solo per generi di prima necessità, o imporre scadenze artificiali ai fondi erogati. Il nocciolo della questione è che le stablecoin, lungi dall’evitare il controllo pubblico, offrono alle autorità una visibilità totale sulle transazioni.
Un documento di lavoro della SEC sottolinea che le stablecoin ben regolate offrano una “visibilità senza precedenti” nei flussi finanziari globali, facilitando il monitoraggio delle attività illecite.
I legislatori americani lo hanno capito bene. Con il GENIUS Act approvato lo scorso luglio gli Stati Uniti hanno istituito un regime stringente per le stablecoin: secondo la nuova legge ogni emissione deve essere pienamente coperta da riserve liquide - dollari cash o Treasury Bills a breve termine - e pubblicare mensilmente la composizione degli asset di riserva.
Inoltre, i fornitori di stablecoin sono equiparati di fatto a banche o finanziarie: devono applicare KYC/AML secondo la normativa del Bank Secrecy Act, segnalare operazioni sospette e trattare le transazioni degli utenti come quelle di un istituto vigilato. In concreto ciò significa tracciamento completo di ogni versamento o spesa in stablecoin.
Del resto, Tether non si è fatta pregare: recentemente ha lanciato USAT, riservandola ai soli cittadini USA. Il Ceo Paolo Ardoino la descrive come soluzione “per partecipare all’economia statunitense” ma il senso è chiaro: già oggi gli americani hanno conti in banca, carte di credito e contanti. Un token ancorato al dollaro risulta del tutto superfluo per loro. Si tratta piuttosto di un escamotage per sottostare alle nuove regole e per introdurre un dollaro digitale de-facto.
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In pratica, dietro la finta promessa di controllare il tuo denaro le stablecoin offrono il rovescio della medaglia: congelare e controllare a piacimento. Le riserve degli emittenti sono custodite da entità centralizzate - principalmente banche - che su richiesta delle autorità possono bloccare un indirizzo sospetto in pochi clic. Ne è prova la politica di Tether: nel 2025 la società ha congelato oltre $2,5 miliardi in USDT collaborando con FBI e altri enti. Come ha candidamente ammesso lo stesso Ardoino: la capacità di “tracciare le transazioni e congelare gli USDT collegati ad attività illecite ci distingue dalla moneta fiat tradizionale e dagli asset decentralizzati”.
Anche Circle, emittente di USDC, include nei propri termini la possibilità di “bloccare” e “congelare” i token collegati a wallet considerati illeciti, fino a consegnare in toto alle autorità i fondi sequestrati.
Niente di tutto questo c’entra con la libertà finanziaria promessa da Bitcoin. Al contrario, regolatori e banche vedono nelle stablecoin un potente strumento di visibilità sui consumi: come rileva la SEC, possono offrire “una visibilità senza precedenti nei flussi finanziari globali”, utile per identificare attività criminali e applicare sanzioni.
E attenzione, perché noi europei non ci salviamo. Dopo la MiCA, i big del settore bancario si stanno muovendo. Negli ultimi giorni un consorzio di nove grandi istituti continentali (tra cui ING, UniCredit, KBC, CaixaBank e Raiffeisen) ha annunciato la creazione di una nuova società con sede nei Paesi Bassi, il cui obiettivo è emettere un euro-stablecoin conforme alla MiCA entro la seconda metà del 2026.
Il messaggio formale è: pagamenti istantanei, costi minimi, nuove possibilità tecnologiche e buzzword come se non ci fosse un domani: smart contract, cross-border stablecoin swap, ecc, Il messaggio sostanziale è: non aspettiamo Fracoforte, anche noi possiamo introdurre un euro-digitale senza passare dalla BCE. D’altronde la Banca Centrale Europea resta cauta: Christine Lagarde ha più volte definito le stablecoin come una “privatizzazione della moneta pubblica” e invita a chiuderne le “porte girevoli” regolando gli emittenti esteri con standard rigorosi.
Insomma, nel nome della stabilità si perde ogni principio di sovranità finanziaria dell’utente. Se Bitcoin promette la libertà monetaria, le stablecoin la consegnano a fil di notifica a banche centrali, autorità e sistemi di sorveglianza.
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