Fermata #260 - La fallacia del bene pubblico
Dal "Piccolo manuale della Libertà" di Vito Foschi, la spiegazione del perché un bene pubblico non è mai davvero gratuito, contrariamente al pensiero più diffuso
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Libro: Piccolo manuale della Libertà
Autore: Vito Foschi
Editore: Sapere Aude Edizioni
Anno di pubblicazione: 2021
Una delle tante sciocchezze che si raccontano, quando si parla di affidare ai privati servizi attualmente gestiti dal pubblico, è che i prezzi finali per i cittadini-consumatori sarebbero più alti. Normalmente si ribatte affermando la maggiore efficienza del privato rispetto al pubblico, ma se si riflette in maniera un po' diversa, la giusta replica a chi rivendica l'economicità e addirittura la gratuità della gestione pubblica è: ma come può essere qualcosa prodotto gratis?
Siamo in presenza di miracoli? Spieghiamo con un banalissimo esempio. Se c'è da costruire un muro, ci vogliono mattoni, malta e manodopera: allora, come si fa a dire che se il muro è costruito dal privato costa di più, mentre se a costruirlo è il pubblico costa meno? Il numero dei mattoni che ci vorrà sarà lo stesso, così per la quantità di malta e il numero di ore di lavoro. I costi sono una cosa ben ancorata alla realtà e non possono esistere prodotti o servizi gratis.
Ci possono essere produttori più efficienti, ma nessuno è in grado di produrre gratis.
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In estrema sintesi, quando si dice che il pubblico costa di meno al cittadino, si vuole dire che, come al solito, paga qualcun altro o meglio che i costi sono occulti. La storia dell'acqua pubblica è emblematica con lo spauracchio che il privato avrebbe alzato le tariffe. A parte che le tariffe sono comunque aumentate e gli investimenti non sono stati fatti, è abbastanza ovvio che se il privato deve riparare o costruire nuovi acquedotti i soldi da qualche parte deve prenderli. E se non dalle tariffe, da dove allora?
Può darsi che il comune faccia pagare delle tariffe più basse, e ciò non è sempre vero, ma è piuttosto evidente che le perdite di bilancio vengono ripianate dallo stesso ente tramite i soldi prelevati dalle tasse.
Tutto ciò è una grande finzione: i soldi prelevati dalle tasse non sono soldi dei cittadini-consumatori? Alla fine malta e mattoni bisogna comprarli e i lavoratori pagarli. Allora, cosa cambia se non il fatto di vivere in una gigantesca illusione in cui si pensa di pagare poco, ma in realtà si paga di più? Tra l'altro, bisogna aggiungere che mediamente il pubblico gestisce peggio del privato, per il semplice motivo che spesso le società municipali vengono usate per piazzare i clientes dei vari politici.
E credo che sia più che necessario dire la verità.
Qualcuno spera che spostando i costi dalle tariffe alle tasse siano i più ricchi a pagare, sempre succubi dell'invidia sociale, vero motore dello statalismo e di un solidarismo penoso. Sarà proprio così? Chi è in grado di dimostrare che la fiscalità incida di più su chi più ha? Poi si tira fuori la storia dei poveri che non possono pagare l'acqua. Questo è un falso problema, perché il comune o lo stato potrebbero fare una piccolissima cosa: pagare le bollette dei più poveri senza distorcere l'efficienza produttiva creando corruzione e distruggendo ricchezza. Si confonde 'aiuto ai poveri con la gestione in proprio, come se per dare un piatto di minestra ad un povero si dovesse comprare un campo di grano, un mulino, un pastificio e infine un ristorante. Non si fa prima a comprare il piatto di minestra dal ristorante?
Chiaramente nessuno ha interesse alle soluzioni semplici, perché i politici hanno troppi vantaggi a gestire direttamente imprese ed enti vari per piazzare i propri clientes, e gli stessi cittadini-consumatori hanno le loro colpe. Alcuni sperano di diventare clientes, mentre molti altri si muovono mossi dall'invidia. Un po' come il famoso detto in cui il marito per fare dispetto alla moglie si amputa gli attributi, cosi a molti non interessa di pagare tante tasse e di avere uno Stato che dire inefficiente è fargli un complimento, l'importante è che si punisca chi ha successo. Agli italiani, l'idea che qualcuno si arricchisca costruendo e gestendo acquedotti o qualsiasi altro servizio cosiddetto pubblico, inorridisce più che pagare tasse spropositate ed alimentare corruzione e ingiustizie.
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Il trasporto locale, un esempio di welfare al contrario
Il trasporto locale è in gran parte sussidiato dalle pubbliche finanze, giustificando ciò con motivi quali l'isolamento di alcuni comuni e il sostegno alla mobilità di fasce disagiate della popolazione. Una prima considerazione da fare è sul perché lo stato quando vuole erogare un servizio, lo debba organizzare in prima persona, come se fosse in grado di svolgere mille e più compiti e nel modo migliore possibile. Oltre alla presunzione di essere in grado di erogare un servizio, persiste la suprema arroganza di pensare di sapere cosa serve ai cittadini, o meglio di poterne prevedere le molteplici esigenze. Nel caso in questione quante persone necessiteranno del trasporto e a che ora.
Il trasporto scolastico possiede quelle caratteristiche di prevedibilità di orari e quantità da essere facilmente implementato, ma con le esigenze di trasporto dei lavoratori sorgono dei problemi. Non esistono più le grandi fabbriche con turni ben definiti, che potevano dettare i ritmi ad un'intera città. Si pensi alla vecchia FIAT e alla città di Torino che era quasi un'estensione della fabbrica. Oggi, le aziende sono piccole e il lavoro flessibile, in cui si alternano picchi e traumatiche flessioni ed in più, molti lavoratori sono disposti a spostamenti più lunghi pur di lavorare. In più con la pandemia del Covid si è ormai definitivamente affermato il telelavoro introducendo un'ulteriore variabile nel mondo del lavoro. Come è possibile prevedere questi flussi?
Una soluzione più semplice non potrebbe essere quella di far detrarre integralmente i costi di trasporto ai lavoratori? I trasporti verrebbero organizzati da privati, per esempio con mini pullman a chiamata ed in concorrenza o con altre soluzioni che la fantasia delle persone potrà trovare e gli utenti potrebbero scaricare tutti i costi. Per i poveri come si fa? Si danno semplicemente dei buoni trasporto da utilizzare come meglio credono. Non più previsioni impossibili o mezzi pubblici vuoti o stracolmi ed aiuto ai bisognosi.
Altre considerazioni merita il problema della mobilità dei piccoli comuni isolati. Negli ultimi decenni abbiamo assistito al trasferimento di quote crescenti di popolazione dalle grandi città ai piccoli comuni dell'hinterland, alla ricerca di una migliore qualità della vita. Spesso, chi sceglie un comune isolato, lo fa per il forte risparmio sull'acquisto della casa ed il prezzo basso è giustificato dall'isolamento, mentre chi acquista una casa nel centro di una grande città paga un prezzo esorbitante. Il mercato è equo e i costi delle due soluzioni tendono ad equivalersi: risparmi sulla casa e spendi di più in trasporti; paghi cara una casa e risparmi sui trasporti.
È necessario aggiungere che gli hinterland delle grandi città non sono sperduti comuni montani, ma spesso collezioni di confortevoli ville per proprietari abbienti. Oltre a ragioni economiche, abitare in paese è diventata una moda e spesso ci si trova a situazioni il cui costo abitativo è paragonabile a quello del centro delle grandi città. In breve, molti piccoli comuni sono confortevoli ricoveri per ricchi che lavorano in città. Volendo spiegare con un esempio banale, si rischia di organizzare un servizio pubblico per quell'unica volta che il Suv del benestante è in riparazione.
Naturalmente nulla contro i Suv, ma giusto per illustrare un concetto. Detto in termini più tecnici, la scelta di chi, abbiente, decide di acquistare una villa fuorimano ricade sulla collettività che finanzia il trasporto pubblico. Il pullman per i figli del ricco viene pagato anche dal povero. C'è un trasferimento netto di ricchezza dal gruppo sociale più povero a quello ricco, perché la fiscalità generale ricade su tutti ed i beneficiari sono in pochi. Spesso il welfare genera queste contraddizioni perché parte dal presupposto di onnipotenza e onniscienza.
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