Fermata #253 - La Grande Depressione nascosta
L'intervento di Jack Mallers a BTCPrague lascia il segno parlando alle nuove generazioni. Bitcoin come opportunità etica e sociale per riprendersi un futuro depredato dal debito.
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Stavo scrivendo un approfondimento sui Paesi dalla fiscalità vantaggiosa per Bitcoin. Credevo potesse essere utile per molti lettori, frustrati dallo scenario italiano. Poi ho notato che, sul suo profilo X, Jack Mallers, co-fondatore di Strike e Twenty One Capital, ha pubblicato la versione integrale del suo speech a BTCPrague. Ho deciso di guardalo e ho capito subito che sarebbe stato uno degli interventi più belli mai ascoltati su Bitcoin. Soprattutto, le parole di Mallers mi hanno fatto cambiare il focus: certo, l’opportunità dell’arbitraggio giurisdizionale potrà essere interessante per un futuro articolo, ma non ha alcun valore se paragonato al messaggio lanciato da quel ragazzo in felpa sul palco di Praga.
Per questo ho deciso di dedicare questa puntata al racconto e al commento di un intervento che resterà nella storia di questo settore.
In 44 minuti, Jack Mallers ha parlato al cuore delle nuove generazioni, Millenial e Generazione Z, esponendo un’enorme contraddizione: viviamo - e utilizzo la seconda persona plurale perché io stesso faccio parte dei Millenial - nel mondo più tecnologicamente avanzato possibile, con agi e comodità che solo 50 anni fa sarebbero stati fantascienza ma, analizzando i numeri, in pochi vorrebbero essere nei nostri panni. Il giornalista Michael Hobbes ha fotografato la situazione scrivendo un titolo molto chiaro sull’Huffington Post: “Perché i Millenial stanno affrontando il futuro finanziario più spaventoso di ogni generazione dalla Grande Depressione”.
Il titolo, mostrato da Mallers sul palco, fa capire che qualcosa non va. Utilizziamo tutto: Internet, smartphone, intelligenza artificiale; ma abbiamo sempre meno. Sempre meno case di proprietà, sempre meno auto, sempre meno lavoro, sempre meno salute mentale, sempre meno cibo salutare, sempre meno possibilità di costruire il nostro futuro. C’è una cosa che abbiamo: il debito. Abbiamo tanti, tantissimi debiti. Perché?
Gran parte delle motivazioni punta a un’unica origine. La natura della moneta.
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Da Bretton Woods ai giorni nostri
Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, gli Stati Uniti hanno assunto la guida finanziaria del mondo, offrendo il dollaro come valuta di riserva internazionale agganciata all’oro. Questo ha posto le basi di un sistema in cui gli USA si impegnavano a garantire la stabilità monetaria globale. Sapete tutti, però, cos’è successo nel 1971: Nixon shock e sgancio del dollaro dal sottostante aureo. Da quel momento le valute fiat (cioè non più coperte da riserve auree) si possono stampare senza freni reali, legati alla natura, al limite fisico della moneta stessa. Il 1971 inaugura l’era del “denaro facile”, easy money. Per sostenere la domanda globale di dollari, gli USA hanno quindi creato il sistema del pretrodollaro. In parallelo, dagli anni ‘80 in poi, si è accentuata la finanziarizzazione dell’economia: deregulation, credito facile, crescita del settore finanziario a scapito di quello produttivo.
Nel 1994 il finanziere James Goldsmith ha profetizzato gli effetti disastrosi della globalizzazione sfrenata a suon di debito: “Nonostante l’’economia in espansione, aumentano la violenza, la povertà e le baraccopoli nelle città di tutto il mondo... si fa strada la sensazione che qualcosa sia fondamentalmente sbagliato e che chi è al potere non sappia che fare”. Goldsmith ha avvertito che si sarebbe “svuotata la classe media in Occidente, devastata la nostra cultura e perfino la qualità del cibo”.
Debito e precariato: il prezzo pagato dai giovani
L’indebitamento pubblico degli ultimi decenni equivale, secondo Mallers, a “viaggiare nel tempo”: usare oggi risorse prese in prestito dal futuro. Chi sta sostenendo i costi di questo gigantesco esperimento di debito perpetuo e moneta facile? La risposta è chiara: noi, i cittadini comuni, e soprattutto i giovani. “Il costo di stampare moneta non si paga in dollari di carta” – osserva Mallers – “ma con i nostri posti di lavoro, la nostra salute, la nostra stabilità e il nostro benessere”. In altri termini, l’inflazione, il precariato e l’aumento del costo della vita sono le forme attraverso cui il sistema trasferisce i costi sulle persone.
Uno degli effetti più tangibili è la precarizzazione del lavoro e la stagnazione dei salari. L’Italia non fa eccezione. Secondo i dati riportati da Wall Street Italia, il tasso di disoccupazione giovanile supera il 18%, uno dei più alti d’Europa. Chi lavora, spesso lo fa con contratti a termine o part-time: un terzo degli italiani tra 15 e 34 anni (33,4%) è impiegato con un contratto temporaneo. Dal lato delle retribuzioni, il confronto con il passato è sconfortante: l’Italia è l’unico Paese OCSE in cui i salari medi reali sono più bassi oggi che nel 1990. Mentre in altre nazioni gli stipendi crescevano, da noi sono rimasti al palo per 30 anni, erosi di recente anche dall’alta inflazione. Dal 2021 l’aumento dei prezzi ha fatto crollare del 6,4% il potere d’acquisto dei giovani italiani, aggravando ulteriormente la possibilità di mettere da parte risparmi.
Di pari passo, il costo degli asset fondamentali (come la casa) è salito enormemente rispetto ai redditi. Negli Stati Uniti, per acquistare una casa prima degli anni ’70 bastavano pochi anni di lavoro, ora può servire oltre un decennio. Questa forbice tra prezzi e stipendi spinge sempre più giovani a rinviare l’uscita di casa o a tornarci. Negli USA la quota di giovani adulti che vivono con almeno un genitore ha raggiunto livelli record: nel 2020 oltre la metà (52%) dei 18-29enni statunitensi viveva ancora in casa, un tasso mai visto dai tempi della Grande Depressione del 1929. E in Italia il fenomeno è ancora più radicato: l’età media di uscita dalla casa dei genitori sfiora i 30 anni, una delle più alte d’Europa.
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Indicatori di un malessere sociale diffuso
L’impatto della crisi generazionale non si misura solo in numeri economici, ma anche nel tessuto sociale e nel benessere psicofisico dei giovani adulti. Dal 1971 il tasso di natalità è crollato, la qualità del cibo è peggiorata, l’obesità cresciuta, le spese sanitarie sono aumentate vertiginosamente mentre la salute generale della popolazione non è migliorata in proporzione, l’aspettativa di vita in molti Paesi occidentali è stagnante.
Una questione morale: la moneta e il futuro dei giovani
Di fronte a questo quadro, emergono due livelli di lettura. Da un lato c’è l’analisi economica oggettiva: debito pubblico insostenibile, inflazione, disuguaglianze crescenti, lavori precari, servizi sociali sotto stress. Dall’altro c’è una profonda questione etica e generazionale. È giusto che le scelte di oggi compromettano il domani dei nostri figli? È accettabile un sistema in cui i benefici immediati vengono ottenuti scaricando i costi sulle generazioni più giovani (e su quelle future, non ancora nate)?
Mallers non ha dubbi e afferma: “Stampare moneta è una violazione morale”. Per troppo tempo ci hanno fatto credere che la politica monetaria fosse un tecnicismo per esperti, un arido calcolo economico. Ma la realtà è che si tratta di etica. Chi controlla la moneta controlla il potere, e decidere di inflazionare la valuta (cioè erodere il valore del denaro nel tempo) equivale, in termini morali, a commettere un’ingiustizia verso chi ha risparmiato e lavorato confidando in quella moneta. Il debito pubblico cronico non è altro che un enorme trasferimento di ricchezza intergenerazionale: governi e banche centrali “viaggiano nel tempo”, spendendo oggi i soldi che appartengono al futuro dei giovani. Ogni deficit di bilancio, ogni nuovo debito contratto per finanziare spese correnti o salvataggi di banche, rappresenta prosperità rubata ai nostri figli, senza il loro consenso.
Le generazioni Millennial e Gen Z si trovano così a essere le prime nella storia recente a stare peggio dei propri genitori in molti indicatori chiave. Non solo guadagnano meno in termini reali, ma possono permettersi meno cose (case, figli) e vivono in un contesto di maggiore instabilità.
Oltre il pessimismo: una rivoluzione pacifica è possibile?
Mallers chiude offrendo un barlume di speranza. La storia dell’umanità, spiega, è fatta di innovazioni che hanno permesso alla civiltà di progredire e di superare le avversità – dal fuoco alla stampa, dall’elettricità a Internet. La nostra generazione ha già iniziato a lavorare a una nuova rivoluzione, una risposta morale ancor prima che tecnologica, al fallimento del sistema attuale: Bitcoin.
Bitcoin rappresenta un codice morale prima che un codice informatico. In altre parole, la comunità che si è raccolta attorno a questa moneta digitale condivide una visione etica di quello che dovrebbe essere il denaro e il suo ruolo nella società.
Quali sono questi valori? Non censurare, non inflazionare, non confiscare, non contraffare, non rubare.
Bitcoin promette regole del gioco trasparenti e uguali per chiunque, senza privilegi. Non è un caso che, mentre le istituzioni finanziarie tradizionali perdono fiducia agli occhi delle nuove generazioni, il movimento Bitcoin sia visto come un tentativo di riprendere in mano la propria vita.
Il debito pubblico non ha colore, cresce indipendentemente dal partito politico in carica. Non sarà un pezzo di carta in un’urna elettorale a cambiare le cose. Saranno i voti fatti con i portafogli a cambiarle. Comprare Bitcoin è un modo per gridare al mondo: “Noi non approviamo il sistema di debito infinito”, senza bisogno di scendere in piazza con i forconi.
Quale futuro vogliamo per i nostri figli?
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